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Se la vittima di un sinistro ha colpa, il risarcimento ai parenti viene ridotto?

Il caso avvenuto nella realtà è quello di un signore che rimane vittima di un sinistro stradale causato da un conducente che guidava in stato di ebbrezza.

I congiunti della vittima instaurano diversi giudizi civili, per il risarcimento dei danni.

Il principio previsto nel nostro codice è che in applicazione dell'art. 1227, 1° comma, c.c., il risarcimento del danno patito iure proprio dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di colpa ascrivibile alla vittima dell'illecito (v., fra le altre, Cass. 4 novembre 2014, n. 23426; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22514; Cass. 26 maggio 2014, n. 11698);

Nel caso in esame , il defunto non aveva le cinture di sicurezza allacciate nel momento del sinistro.



Affinché possa dirsi che il contegno colposo della vittima abbia effettivamente concorso nella causazione del pregiudizio patito dai congiunti, occorre accertare che la colpa ascrivibile alla vittima del sinistro (i) si sostanzi nella trasgressione di una regola cautelare alla cui osservanza la vittima era tenuta e che (ii) tale trasgressione abbia effettivamente inciso nell'eziologia del sinistro rivelatosi mortale.


La Corte di Cassazione ha però stabilito che «In caso di domanda di risarcimento del danno iure proprio proposta dai congiunti della vittima di un sinistro stradale mortale, l'idoneità della condotta colposa dell'ucciso a contribuire alla concausazione del danno deve essere apprezzata verificando, sulla base degli elementi probatori assunti a presupposto del giudizio fatto, l'effettiva incidenza avuta sull'evento morte dalla trasgressione della regola cautelare – generica o specifica – allo stesso ascritta».


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