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Quando si può licenziare un dipendente che sbaglia?

Il licenziamento di un dipendente (che in termini tecnici si chiama recesso datoriale) è un momento difficile delle vita di un'impresa.

Spesso è una decisione sofferta o comunque una decisione che non viene presa a cuor leggero, vuoi perchè si crede che la situazione possa migliorare, vuoi perchè ci si chiede se veramente il dipendente abbia superato quella soglia di "non ritorno" tale da giustificare il licenziamento.

Oltre questa difficoltà nella scelta, si assiste spesso al problema di capire se il comportamento che il dipendente ha posto in essere sia veramente tale e veramente grave da giustificare il licenziamento.

In questo contesto un grande aiuto è offerto dai contratti collettivi nazionali (CCNL) di categoria, che elencano una serie di sanzioni per certe tipologie di comportamento. Infatti dovete sapere che se un dipendente commette un errore per colpa, non sempre l'unica sanzione è il licenziamento, ma ci sono sanzioni (numerose tra cui scegliere) molto meno gravi, quali il biasimo verbale, il biasimo scritto, la sospensione dal lavoro per alcuni giorni, la mancata retribuzione per alcuni giorni.

Sono tutte opzioni graduali prima di giungere alla sanzione più grave del licenziamento. A volte, inoltre, capita che un medesimo comportamento possa essere sanzionato in prima battuta con una sanzione più leggere e solo se viene reiterato, allora è possibile procedere con il licenziamento.

Casi come questo sono specificati proprio nei contratti collettivi nazionali.

In questi casi, alla prima occasione di errore, il dipendente deve essere sanzionato solo con la misura più leggera prevista dall'accordo collettivo e soltanto nel caso in cui costui reitera il comportamento, allora si può procedere con il licenziamento, altrimenti, proprio come ha recentemente chiarito la Corte di Cassazione, il licenziamento può essere impugnato.



La recente Cass. civ., sez. lav., ord. 8 agosto 2022, n. 24438 si è occupata proprio di un caso del genere, in cui il datore di lavoro è passato subito alla sanzione del licenziamento anziché passare per le misure più lievi previste dal contratto collettivo e chiarisce proprio questo principio: «quanto alle conseguenze sanzionatorie, il contratto nazionale prevede, in ipotesi di inosservanza di leggi, disposizioni, regolamenti ed obblighi di servizio che rechino pregiudizio agli interessi del datore, la sospensione del lavoro fino a sette giorni, e, qualora le sopra citate ipotesi rivestano particolare gravità e sempre che tale gravità non sia diversamente perseguibile, la sospensione dal lavoro da otto a dieci giorni».


Invece, aggiungono dalla Cassazione, in secondo si è altresì precisato che «per la configurabilità di un licenziamento per giusta causa occorre, invece, che l'inosservanza di disposizioni, regolamenti ed obblighi di servizio, già di per sé grave, presenti un ulteriore surplus di gravità» e quindi «occorre essere in presenza di una gravità massima ed estrema» che però, osservano i giudici di terzo grado, non pare ravvisabile nella vicenda presa in esame, avendo riguardo al «carattere episodico ed isolato del fatto contestato».

Quindi occorre fare molta attenzione e verificare se il licenziamento sia la sanzione corretta per la violazione del dipendente: come potete vedere, in caso di scelta sbagliata, il licenziamento si può impugnare con tutte le conseguenze in termini di risarcimento del danno.

Questo principio deve essere chiaro sia alle aziende prima di assumere qualsiasi decisione in tema di licenziamento, per evitare di avere danni ulteriori da un'impugnazione sia ai dipendenti che sono stati licenziati per verificare di non avere subito ingiustizie.

Capite quindi come sia importante affidarsi ad uno studio legale che abbia sia specializzazione in diritto del lavoro che in diritto aziendale prima di assumere qualunque decisione.

Contattateci per qualsiasi chiarimento.


Avvocati esperti in diritto del lavoro.


Per info: studiomarianiborsani@gmail.com



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