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La banca può modificare unilateralmente le condizioni di conto corrente?

La risosta è si, ma solo ad alcune condizioni.

Le modifiche peggiorative adottate dalle banche ovvero dagli intermediari finanziari senza la preventiva comunicazione al cliente sono inefficaci.

Questo, dunque, il principio di diritto posto alla base della presente pronuncia Cass. civ., sez. I, ord. 15 dicembre 2023, n. 351.

L'obbligo di informativa gravante in capo alle banche e/o agli intermediari finanziari.

La normativa vigente in tema di rapporti bancari prevede manifestamente che le banche e gli intermediari finanziari debbano inviare alla propria clientela una comunicazione preventiva, illustrante il contenuto di modifiche che unilateralmente intendono attuare, con contestuale indicazione delle motivazioni e della data di decorrenza.

Nel dettaglio, la facoltà di modifica unilaterale deve essere prevista contrattualmente e specificamente approvata dal cliente, il quale deve essere edotto con un preavviso minimo di due mesi, in forma scritta ovvero attraverso altra modalità precedentemente accettata.



Le comunicazioni con cui le banche e gli intermediari finanziari rendono note le variazioni devono riportare la formula «Proposta di modifica unilaterale del contratto», inapplicabile, però, ai tassi di interesse; difatti, se il correntista non è un consumatore né una micro-impresa, il mutamento del tasso di interesse è consentito solo a fronte di specifici eventi previsti dal contratto approvato dal cliente stesso.

Il rispetto di tali obblighi permette, quindi, a quest'ultimo di valutare le modifiche unilaterali proposte, di conoscerne le motivazioni ed eventualmente di ricercare nuove soluzioni contrattuali, più adeguate alle proprie esigenze.

Se c'è poco da discutere sull'inefficacia delle condizioni peggiorative arbitrariamente ed unilateralmente decise dall'istituto di credito ovvero dall'intermediario finanziario, qualche considerazione deve, invece, essere affrontata sotto il profilo dei rimedi in favore del correntista leso.

Sul tema sono, di recente, intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., Sez, Unite, 1 febbraio 2022, n. 3086), le quali hanno enunciato il principio per cui in materia di esame contabile ai sensi dell'art. 198 c.p.c. e, comunque, nel corso del giudizio di ripetizione dell'indebito esperibile dal cliente danneggiato nei confronti della banca, il consulente tecnico giudizialmente nominato può procedere all'acquisizione degli estratti conto relativi al rapporto che le parti abbiano mancato di produrre, tali da comprovare i fatti costitutivi del diritto azionato, documentando essi stessi l'andamento del conto e le singole rimesse suscettibili – appunto – di ripetizione, in quanto riferite a somme non dovute (Cass. civ., 24 novembre 2022, n. 34600).

Va da sé, quindi, che in materia di rapporti bancari, il correntista che agisce in sede giudiziale per la ripetizione dell'indebito è tenuto a dare prova della natura ripristinatoria delle somme contestate, salvo il «soccorso» della consulenza tecnica che, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio tra le parti, ha facoltà di acquisire tutti i documenti necessari.



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