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Diffamazione “a mezzo Facebook”

Aggiornamento: 29 mar 2022

La diffamazione a mezzo facebook è ad oggi un reato molto diffuso. Si tratta di quelle circostanze in cui il soggetto pone in essere una condotta che mira ad offendere e screditare l’onore di una persona, attraverso la pubblicazione di un post.

In difetto di una specifica disposizione normativa che si occupi del caso concreto, la fattispecie viene ricompresa nel più ampio reato della diffamazione aggravata, come disciplinata dall’articolo 595 comma 3 del nostro codice penale. In sostanza si tratta di un reato addirittura aggravato, e questa considerazione si basa sulla potenzialità del commento di raggiungere una pluralità di destinatari, ampliando lo scopo diffusivo del messaggio (Cass Sez I pen n. 24431/2015).

La possibilità di cancellare ed alterare il post incriminato, ha generato la necessità di emanare linee guida sulla prova dell’esistenza e del contenuto del messaggio. La legge di recepimento della criminalità informatica non ha introdotto alcuna indicazione in merito, lasciando ampio margine di discrezionalità. La Suprema Corte, con sentenza n. 5175/2018, ha specificato che tale legge,

“Si limita a richedere l’adozione di misure tecniche e procedure idonee a garantire la conservazione dei dati originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte. Non è stata introdotta alcuna inutilizzabilità del dato acquisito senza il rispetto di tali procedure.”

La Corte ha legittimato l’acquisizione della semplice stampa della pagina contentenente il post diffamante, lasciando al Giudice la valutazione probatoria in relazione agli altri elementi.

In sostanza, dunque, è corretto fornire al vostro avvocato le stampe delle pagine con il post incriminato. Sarà il professionista a valutarne la rilevanza e decidere se portare quei contenuti all’attenzione del Giudice o della Autorità competenti.


L’individuazione del soggetto agente

Importante questione attiene alla corrispondenza tra l’autore materiale del post e il soggetto imputato. Quante volte capita che il responsabile si difenda affermando che “non è stato lui a scrivere”?


In aiuto vi è però l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, che è incline a considerare l’identità virtuale (come quella di un profilo facebook) coincidente con l’identità fisica della persona stessa, salvo casi di furto d’identità. In sostanza dunque si presume che l’autore sia il titolare del profilo incriminato.


Una recente pronucia della Cassazione, in una fattispecie di imputazione per commento diffamatorio su forum, ha però specificato che l’associazione non deve essere automatica. I Giudici di merito dovranno accertare l‘IP di provenienza del post diffamatorio, di modo tale che la fonte dello stesso sia inequivocabilmente associata all’imputato. Non basta, dunque, il solo profilo Facebook, ma anche l’IP di provenienza.

L’ardua prova, il cui onere ricade sulla persona offesa, risulta condicio sine qua non della punibilità della condotta. (Cass sez V pen, n. 5352/2018).



Redatto con la collaborazione della Dott.ssa Chiara Servidio

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