Il growshop è un negozio al cui interno possono essere acquistati anche (e non solo) prodotti a base di cannabis sativa. Si sono diffusi a macchia d’olio su tutto il territorio italiano, facendo leva su un’interpretazione estensiva della legge 242/2016 e sul vuoto normativo che “non negava” in maniera esplicita la vendita di tali prodotti, a condizione che avessero un principio attivo “tetraidrocannabinoido” non superiore allo 0,6%. A seguito della messa in esercizio di tali attività, le Autorità procedevano a diversi controlli riguardanti le sostanze vendute, con relativo sequestro. Le Corti venivano quindi chiamate a pronunciarsi sulla liceità della vendita dei prodotti a base di Canapa.
Si palesavano così orientamenti differenti, dovuti in particolar modo al silenzio legislativo in materia e all’interpretazione della legge 246/2016 riguardante “disposizioni per la promozione della coltivazione e filiera agroindustriale della Canapa. Gli orientamenti delle Corti L’orientamento maggioritario escludeva la possibilità della commercializzazione dei prodotti a base di cannabis sativa, in quanto non compresa nelle attività consentite dalla legge 242/2016 (ad es. Cass. Sez. 3, n. 17387/2019; Cass. Sez. 4, n. 57703/2018; Cass. Sez. 6, n. 56737/2018). Altra posizione era invece sostenuta da un altro orientamento, minoritario, il quale faceva discendere dalla liceità della coltivazione della cannabis sativa, anche la commercializzazione dei derivati della stessa quali foglie e inflorescenze, purchè contengano un principio attivo inferiore allo 0,6% (ad es. Cass. Sez. 6, n. 4920/2018). I fautori di tale orientamento, non solo escludono l’applicazione dell’art. 73 d.p.r. 309/1990, ma ritengono che il consumo di tali sostanze non integri l’illecito amministrativo definito dall’art. 75 del medesimo decreto. Esiste un altro orientamento, abbastanza isolato, che trova una soluzione intermedia tra le fazioni sopra richiamate. In particolare sostiene la liceità della commercializzazione dei prodotti a base di canapa ma identifica il limite della concentrazione di principio attivo nello 0,2% (Cass. sez. 3, n. 10809/2018). Il contrasto giurisprudenziale sul tema ha prodotto la sottoposizione del quesito alla Sezione Unite Penali della Corte di Cassazione che, con la sua funzione nomofilattica, ha emanato un principio di diritto che dovrà essere applicato dalle Corti. La decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penali La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, dopo aver auspicato un intervento del legislatore, analizza tutte le leggi, nazionali e comunitarie, riguardanti l’argomento. La Corte esprime il principio di diritto per il quale La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242/2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività” (CASS Sez. Unite Penali, sentenza n. 30475 del luglio 2019) La corte, attraverso il percorso normativo e la volontà del legislatore italiano ha accolto l’orientamento maggioritario ed escluso la liceità della commercializzazione dei prodotti a base di canapa. Ci sentiamo di indicare, in questo clima di incertezza e sino all’intervento legislativo che la stessa Corte auspica, che la commercializzazione oggi consentita è quella di prodotti aventi principio attivo assente o comunque talmemte basso da escludere il reato di cui al D.p.r. citato, in relazione al principio di offensività affermato. In tali casi invero, non vi sarebbe la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma. Sembra quindi che la Corte abbia posto un freno allo sviluppo dei growshop che vendano al loro interno prodotti derivati della canapa contenenti il principio attivo della cannabis, a meno che siano privi di efficacia drogante e psicotropa.
Articolo redatto con la collaborazione della Dott.ssa Chiara Servidio
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