Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda di usucapione proposta da una donna nei confronti dei due convenuti, i quali avevano ottenuto il possesso dei beni oggetto della domanda per successione ereditaria.
L'attrice era stata nomina protutrice di uno dei convenuti che all'epoca era minorenne. Ebbene, la domanda di usucapione veniva accolta in virtù del possesso esclusivo esercitato sui predetti beni.
La Corte d'Appello ha confermato la decisione.
I soccombenti sostenevano che in realtà la parte vincitrice dei primi due gradi di giudizio non aveva usucapito, perchè l'utilizzo dei beni ereditari era solo una "concessione" tollerata da tutti.
La Cassazione si è trovata a decidere questo complicato caso ed ha ritenuto che «il coerede che, dopo la morte del "de cuius", sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, a tal fine, però, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", risultando a tal fine insufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 22.1.2019, n. 1642)».
Nella sostanza, insomma, chi vuole provare l'usucapione deve provare che ha da sempre (per il tempo necessario ad usucapire) utilizzato il bene proprio come se fosse proprio e non "di tutti gli eredi".
Una prova difficile, ma non impossibile
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